mercoledì 14 novembre 2012

Lettera agli ossolani del nostro Vescovo di Novara Mons. Franco Griulio Brambilla a seguito della sua vistita in Ossola

A tutti i cristiani del Vicariato dell’Ossola
e a tutti gli abitanti di queste straordinarie valli,

anzitutto vorrei esprimere un grande ringraziamento per la bella accoglienza di questi primi giorni di contatto con le comunità cristiane e le persone dell’Ossola. È stato un momento intenso dove ho visitato le vostre Chiese e le vostre comunità, ho incontrato tutti i sacerdoti e molti laici negli affollati incontri serali, ho visto la gioia dei bambini e ragazzi nelle scuole e la serenità degli anziani nelle case di riposo, soprattutto ho stretto la mano alle persone che in un’interminabile e defatigante corsa mi hanno atteso e salutato. Sono passato a visitare quasi ogni angolo del Vicariato che si ramifica nelle sette splendide valli, illuminate dal sole radioso dell’autunno che sfumava in una tavolozza di colori mozzafiato. Quindici giorni di entusiasmante pellegrinaggio tra le vostre case, come vi avevo promesso. Molti i volti e gli incontri vissuti con cordialità e semplicità. Ve ne sono veramente grato. Vorrei raccogliere ora qualche riflessione per annodare il filo di un dialogo che desidera continuare.

Parte da una domanda che mi è stata rivolta: la fede a questa “altezza” è diversa da quella della parte “bassa” della Diocesi di Novara? Si potrebbe rispondere: sì e no, nello stesso tempo! In val d’Ossola il senso della tradizione è altissimo e s’iscrive nelle pietre, nei costumi, nelle tradizioni popolari. La tradizione è legata alla lingua e alla cultura umana. Essa continua a rinnovarsi se e quando la lingua e la cultura vengono trasmessi. La tradizione non è solo le “cose” trasmesse (per quanto abbia visto chiese, opere e costumi di uno splendore inimmaginabile che ricordano la memoria di coloro che ci hanno preceduto), ma anche l’“atto” del trasmetterle, la relazione vivente con cui consegniamo agli altri il senso dei gesti e delle innumerevoli chiese della valle. Per questo la domanda che fa da titolo alla mia lettera pastorale: Come stai con la tua fede? significa, per chi ama questa porzione della diocesi, proprio questo. Sono capace di trasmettere in modo vitale la tradizione ricevuta? Mi sforzo di ritrovarne il senso per la mia vita? Vivo i gesti della fede, con le loro stupende forme pratiche, non con un atteggiamento scontato, ma per riscoprire l’altro, la mia famiglia, me stesso? E, dentro tutto questo, ritrovo l’esperienza di Dio? A questo punto se la tradizione vivente mi fa trovare il desiderio di vedere Dio, sarò in comunione anche con altri modi di vivere la fede che sono presenti nel resto del territorio della nostra vasta Diocesi.


Passando tra voi ho posto ripetutamente una domanda: come sarà la Chiesa nel 2020? La Chiesa esiste nel mondo, nella società civile. Quindi le trasformazioni dell’una influiranno sulla seconda e viceversa. E se nella società civile sarà soprattutto la leva economica a far procedere a tappe forzate verso l’“accorpamento amministrativo” (come sta avvenendo in questi ultimi tempi per le provincie, ma avverrà certamente pure per i comuni), anche per la Chiesa la diminuzione del clero e l’aumento della sua età media spingeranno a pensare in modo nuovo il rapporto con il territorio. Bisogna però dire con chiarezza: questa circostanza è solo l’“occasione”, ma non è la “causa” di un ripensamento del rapporto della Chiesa con il territorio. La parrocchia come si è configurata negli ultimi 400 anni (il modello tridentino=una chiesa, un campanile, un sacerdote) ha una storia più varia di insediamento sul territorio. Nel medioevo, ad esempio, nella grande città esisteva la Cattedrale, e le chiese succursali celebravano alla domenica la messa, mantenendo con l’eucaristia del Vescovo un legame simbolico, espresso nel frammento di pane della mensa eucaristica del Vescovo, che il diacono portava in ogni messa celebrata nella città. Mentre nelle campagne c’erano gli oratoria villarum, spesso legati al feudo, in cui si celebrava la messa e i riti di iniziazione alla vita cristiana (battesimo) attendendo il vescovo per la cresima. Il modello tridentino della parrocchia è finito, ma non bisogna perdere il “sugo della storia”: il rapporto della Chiesa con il territorio significa che la Chiesa vive tra le case della gente. Bisognerà pensare a un modello nuovo di presenza nei nostri paesi, spesso piccoli e sparsi nelle valli e sulle pendici dei monti. Occorrerà saper distinguere due aspetti: a) gli elementi essenziali per alimentare la vita cristiana in un luogo che dovranno rimanere nelle parrocchie attuali (ciò preserverà anche l’identità dei nostri paesi); b) le risposte pastorali ai bisogni della gente (giovani, famiglie, caritas, sanità, lavoro, scuola, turismo, missioni, immigrati, ecc.) dovranno trovare forme più forti di collaborazione e sinergia “tra” le parrocchie su un territorio più vasto (unità pastorali). Questo potrebbe essere persino un modello utile per la società civile.


Le valli che ho visitato hanno tutte una forte identità: molti mi hanno atteso e mostrato con orgoglio ciò che definiva l’identità di un paese o di una frazione. L’identità, se non s’identifica solo con “le” tradizioni, ma con “la” tradizione, non ha nessuna paura a confrontarsi anche con quella di altri, anzi ne riceve arricchimento e insieme è capace di trasmettere il proprio patrimonio spirituale. Bisogna temere solo la riduzione folkloristica dell’identità. Per questo vorrei dire a tutti che bisogna rigenerare le proprie radici, perché la pianta che un tempo era rigogliosissima, ricresca ancora più verdeggiante.


Una cosa sola bisogna riprendere con grande forza: essere più “ospitali”, più creativi, più accoglienti. L’ospitalità è prima una questione di mentalità, di gesto e di relazione: non siamo noi che facciamo un piacere ad accogliere gli altri, ma sono gli altri che fanno un piacere a venire da noi! Anche il panorama sociale ed economico in val d’Ossola si sta trasformando profondamente. Si è ridotta di molto la sua gloriosa tradizione industriale, ma s’affacciano nuove opportunità nel far accostare turisti e villeggianti al patrimonio di bellezze naturali, artistiche culturali e religiose che costellano tutta la valle. Vi assicuro: averli visti tutti insieme, in quindici giorni, mi ha fatto l’impressione di un tesoro ineguagliabile che non teme nessun confronto. Forse chi vi abita accanto non s’accorge del tesoro che possiede: vogliamo trasformare chi verrà ad abitare da noi in appassionato amante della nostra terra e della nostra montagna. E su questo anche la Chiesa, la comunità cristiana, i sacerdoti e i laici, possono e debbono fare la loro parte.


Tornerò ancora ad abitare con voi in due periodi: una decina di giorni a febbraio e oltre un mese ad aprile e maggio. Vorrei parlare il più possibile con tutti i sacerdoti, sarò disponibile a incontrare i laici impegnati che volessero dire qualcosa al Vescovo. Poi ho intenzione di amministrare il sacramento della cresima a nostri ragazzi, favorendo le parrocchie che lo fanno insieme e incontrando prima i ragazzi stessi, le famiglie e le comunità cristiane.


Nel salutarvi penso alla grande sfida che Rosmini raccolse, quando arrivato al Calvario di Domodossola, allora un rudere diroccato, intuì di poterlo farlo diventare un faro d’irradiazione spirituale e culturale in Italia e in Europa. Nonostante il parere contrario di Manzoni e di altri amici. Ve lo consegno come un segno augurale anche per oggi, perché l’Ossola possa risorgere bella e nuova dalle proprie radici. Basta credere e crederci. Il Vescovo ha cominciato dall’Ossola il suo ministero nella Chiesa di Novara e cammina con voi! Vi saluta con affetto.

+ Franco Giulio Brambilla
    Vescovo di Novara


1 Novembre 2012
Festa di Ognissanti

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