sabato 7 maggio 2016

Una vita a catturare vipere: “Ma ora la legge mi manda in pensione”

L’ossolano Diovuole Proletti ha iniziato da bambino: “Mai stato morso, il segreto è la rapidità”


TERESIO VALSESIA
BACENO

L’ultimo viperaio ossolano va in pensione. Ma Diovuole Proletti considera questa quiescenza come ingiusta e coatta. Ha 82 anni e da oltre 70 cattura rettili sulle montagne della valle Antigorio, all’estremità Nord-Est del Piemonte.  

«Mi hanno invitato a tenere una conferenza sulle vipere, e come sempre intendevo farlo non solo a parole, portando anche qualche esemplare per presentarlo dal vero, illustrandolo in tutti i dettagli - spiega Proletti -. Impossibile. Gli organizzatori mi hanno detto di no. Le vipere sono protette. Non si possono più catturare e guai ucciderle. In verità non le ho mai uccise, salvo quando mi chiamavano i villeggianti atterriti perché le trovavano in casa, insieme ai bambini. Ora dovrò accettare l’imposizione, altrimenti arriva una multa». 

IL PRETE ESPERTO DI RETTILI
Croveo, frazione di Baceno. Qualche chilometro più in alto si apre l’incantevole scenario di Devero che Ermanno Olmi, in uno dei suoi primi film, aveva definito «L’alpe fiorita». A Croveo erano stati tutti contrabbandieri fino al 1899 quando arrivò un nuovo parroco. Da allora diventarono tutti viperai. Don Amedeo Ruscetta vi sarebbe rimasto per sessant’anni in quel borgo tra i monti. Da ragazzo andava a cercare nidi ad Artò, il suo paese sulle montagne del Lago d’Orta. Infilando una mano, invece dei merli, trovò una vipera che li aveva ingoiati e stava metabolizzandoli con fatica. Nessun trauma. In lui sboccia la passione per i rettili. 


LE PRIME «PAGHETTE»
«Dopo la messa grande della domenica don Amedeo riuniva tutto il paese sul sagrato tenendo lezioni di erpetologia, dedicate soprattutto alle vipere», ricorda Diovuole Proletti. Abbandonate le bricolle del tabacco e delle sigarette, si incominciò a cercare rettili. «Subito dopo la guerra si guadagnavano 50 lireper ogni esemplare: era già una bella paghetta. Poi 200 e alla fine degli Anni Cinquanta il prezzo pagato dal parroco era arrivato a 500 lire. Da leccarsi i baffi». 

La trafila commerciale delle vipere era semplice. Quando il parroco ne aveva raccolte un bel numero, le spediva all’istituto Pasteur di Parigi in scatole sulle quali poneva un biglietto: «Rettili pericolosi-Vipere vive». Per un po’ le spedizioni sono state regolari. Poi arrivò una comunicazione dalle dogane francesi: «Stop». Però l’alternativa è stata subito azzeccata. Don Ruscetta e Diovuole Proletti, che era il suo principale collaboratore, costringevano i rettili a morsicare una spugna. Che spedivano come pacchi normali, con il veleno cristallizzato.  

Dopo qualche tempo la stessa operazione è stata richiesta dall’istituto sieroterapico di Milano, ai suoi tempi d’oro, quando aveva 400 dipendenti e allevava 200 cavalli per ricavarne il siero anti-vipera. «Adesso l’hanno chiuso. Evidentemente ci sono altri antidoti», dice Proletti. 

«BISOGNA USARE LA GENTILEZZA»
Don Ruscetta morì nel 1971 in un istituto di Vercelli. Aveva 87 anni. Con lui finiva un’epoca. «In tutta la vita era stato morsicato solo tre volte - ricorda Proletti - Io, più fortunato, mai. Mi aveva insegnato a manipolarle con cura, prudenza e gentilezza. Però per catturale ci vuole la massima rapidità. A differenza dei biacchi, che sono più grossi ma innocui, le vipere non sono veloci poiché strisciano a zig-zag. Basta bloccarle sul collo con un bastoncino. Poi si sollevano con cura da terra prendendole per la coda, penzoloni. Loro cercano di rialzarsi e di morsicarci la mano, ma la natura non ha concesso loro di rialzarsi per più di un terzo della lunghezza, qualunque sia». 

Amano naturalmente il sole e quindi al mattino si muovono poco. Prediligono il pomeriggio e per la caccia non disdegnano la notte, alla ricerca di topi, lucertole e uccelli. «Mi è capitato di vederle partorire: una ne aveva fatti otto, piccoli come una biro. Ce ne sono di tutti i colori e striature. Abbiamo anche un esemplare che vive in mezzo ai rododendri e per mimetizzarsi ha una pigmentazione nera e gli occhi blu. Una bellezza unica. Però sono animali timidi e fuggono al primo rumore. Sono anche fragili. Se vengono tenuti a lungo in cattività, rifiutano il cibo, dimagriscono vistosamente e si lasciano morire». 

QUELLA VOLTA CHE IL DON FU MORSO IN TV
Quando lo chiamavano per qualche conferenza, il parroco partiva con il suo sacchetto di vipere vive che si aggrovigliavano e fischiavano. Poi le estraeva presentandole al pubblico. L’ha invitato, agli albori della televisione, anche Angelo Lombardi «l’amico degli animali», che aveva un collaboratore africano di nome Andalù. In quell’occasione il prete venne morsicato a una mano. Scompiglio generale, nello studio della trasmissione. Lui, calmissimo, senza interrompere la scena, estrasse un lacciolo dalla tasca stringendolo al polso per bloccare l’espansione del veleno.  

Oggi Diovuole Proletti, a 82 anni, è ancora un gran camminatore: «Continuerò a frequentare le mie montagne. Se vedo una vipera la raccolgo, la osservo, poi la accarezza sul dorso e la rimetto in libertà. In fondo lei è la padrona di casa. Io solo un intruso». 


da http://www.lastampa.it/

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