La giovane originaria di Villadossola andrà nella missione dove c'è anche don Benoit Lovati
Sabato 17 ottobre a Villadossola nella chiesa di Cristo Risorto alla veglia missionaria di preghiera presieduta dal vescovo di Novara monsignor Franco Giulio Brambilla era attesa anche Elisa Perrini, in partenza per il Ciad. La giovane originaria di Villadossola non ha potuto essere presente perché in auto quarantena. Elisa, 38 anni, dal 2006 non vive più in Italia. Nell’ottobre di quell’anno infatti è partita per la sua prima esperienza missionaria in Uruguay, dopo due anni di missione ha continuato a rimanere in Uruguay cercando lavoro fino al 2017. Ha lavorato in una compagnia che sviluppa e fornisce tecnologia per l’industria del turismo. Poi la ditta per cui lavorava le ha offerto un posto a Singapore e così si è trasferita lì, dove è rimasta fino a marzo di quest’anno.
L'abbiamo raggiunta telefonicamente per una testimonianza su questa decisione di dare nuovamente una svolta alla sua vita.
Cosa l'ha spinta a decidere di partire un’altra volta in missione?
“Diciamo che negli ultimi 5 anni sentivo di aver bisogno di un cambio, il lavoro non mi soddisfaceva più tanto, ero inquieta. Poi mi hanno proposto Singapore e mi sono detta “Ecco il cambio”. Invece no. E per tutto questo tempo avevo nella testa e nel cuore l’idea della missione anche se non volevo ammetterlo. Finché qualcuno mi ha fatto la domanda fatidica: 'Stai facendo della tua vita un dono?'. Questa semplice domanda ha messo in moto un processo di quasi due anni che mi ha portato alla partenza per il Ciad dove opera don Benoit Lovati che per tanti anni ha prestato servizio a Villadossola. La partenza è prevista per fine novembre, anche se in questo periodo è un po’ difficile fare programmi di viaggi. Molti mi dicono che ci vuole coraggio per fare una scelta come la mia. Io dico di no, oppure sì, ci vuole coraggio, ma come per fare tante altre scelte: sposarsi, avere figli, cambiare lavoro, trasferirsi all’estero o persino restare nel proprio Paese.
Che compito avrà in Ciad?
“In Ciad condividerò la vita con altre persone, dovrò dispormi molto all’ascolto e all’imparare un nuovo modo di vedere la realtà. Non ho grandi aspettative, più che altro qualche timore e una grande speranza di riuscire a collaborare bene con le realtà esistenti e con i missionari già presenti nella parrocchia di Bissi Mafou, specialmente nel centro di Lagon. I bisogni sono tanti, così come i progetti e i sogni delle oltre cinquanta comunità della parrocchia. Quest’anno il COVID-19 ha reso più difficile la raccolta fondi e le donazioni sono scarse, faccio quindi un appello agli Ossolani di buona volontà e sempre generosi: c’è ancora chi non può permettersi la didattica a distanza perché internet non esiste e chi muore di una semplice influenza perché non ha accesso alle cure basiche”.
Come ci si prepara per la missione?
“Ovviamente c’è un cammino spirituale di discernimento, il mio forse è stato un po’ atipico, ma comunque ci si confronta sulla vocazione missionaria e sulle possibilità. Poi c’è lo studio della lingua, spesso ci troviamo a studiare una lingua ufficiale come il francese, lo spagnolo o il portoghese, pur sapendo che poi ci troveremo a dover imparare almeno qualche parola delle lingue locali una volta arrivati in missione. Infine c’è un corso di formazione al CUM (Centro Unitario per a la cooperazione Missionaria fra le Chiese),organismo della Fondazione Missio della CEI. Insomma, andare in missione è calpestare terra santa, quindi bisogna iniziare a togliersi i sandali (Es 3, 5)”.
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