venerdì 1 marzo 2013

Domodossola: I ricordi dell'Ossola nelle poesie di Dino Campana

Dino Campana
Oggi l'anniversario della morte dello scrittore che dedicò alcuni dei suoi scritti anche a Dmodossola


FRANCESCA ZANI

L’osteria del «Gatto rosso», le «torri d’acciaio» collocate forse in val Divedro e una poesia patriottica intitolata «Domodossola». Un grande mistero avvolge gli scritti di Dino Campana, poeta originario di Marradi, in provincia di Firenze, morto il primo marzo 1932.

Lo scrittore morì in un ospedale psichiatrico, dichiarato pazzo dalla società dell’epoca, lasciando però in eredità alla letteratura italiana un piccolo gioiello intitolato «Canti orfici». Di lui si sa con certezza, al di là delle creazioni fantasiose, che l’Ossola fu una tappa fondamentale del suo girovagare poetico. Affascinato dagli eventi che scombinavano gli anni della Prima Guerra Mondiale, dalla rivoluzione tecnologica che portava i trafori del Sempione e del Lötschberg sotto i riflettori nazionali e dal tragico volo di Geo Chavez, Campana soggiornò spesso a Domodossola, città di confine, attraversata da emigrante, come molti suoi compaesani.
Nel 1914 decise di andare a lavorare in Svizzera, fece tappa all’Ospizio domese, qui rimase impressionato da un’epigrafe di Pascoli in onore della visita di Margherita di Savoia e si incamminò attraverso la valle Divedro, dove vide le «torri d’acciaio», i tralicci che portavano i cavi dell’energia elettrica dalle centrali alpine verso la pianura padana.

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