sabato 20 febbraio 2016

Prende forma a Crevola la ceramica ossolana

Azienda artigiana fa rivivere la lavorazione avviata nell’800 a Premia


ARIANNA TOMOLA
CREVOLADOSSOLA

Non si possono definire i pionieri della ceramica in Ossola, perché il titolo spetta al parroco di Premia Bartolomeo Tonietti che nel 1808 ebbe questa idea. Ma di certo se la ceramica ossolana è tornata a rivivere è merito di uno scultore romano, Paolo Gallotti, e della moglie Anna Carusi che ormai quasi quarant’anni fa decisero di riportare in vita, a pochi chilometri di distanza, la vecchia fabbrica di Premia. Se nell’Ottocento il materiale prodotto in valle Antigorio permise anche ai valligiani meno abbienti di archiviare stoviglie in legno e in peltro, oggi le ceramiche Kamares sono un’eccellenza per il territorio.  

Scetticismo iniziale  
Ma all’inizio, quando i due appassionati di arte mossero i primi passi, qualcuno tra Domodossola e il circondario credeva stessero facendo una follia. «Qui in zona, infatti, di ceramica non ne sapeva niente nessuno, tranne i pochissimi collezionisti - racconta Anna Carusi -: ci aveva provato un ginevrino a fine Ottocento a far rinascere l’attività, ma il tentativo non andò a buon fine». Di ceramica si era appassionata sempre di più invece quella bambina di origini antigoriane: «A Mozzio, frazione sopra Crodo, c’era un collezionista che ne aveva un bar pieno. Ero affascinata da quei manufatti». 

La passione comune  
La stessa passione fu poi galeotta con lo scultore di Roma arrivato nell’Alto Piemonte per una mostra. Così insieme scambiarono idee e iniziarono a fare ricerche per riscoprire un mestiere nato grazie alla lungimiranza di un parroco che sfruttò l’argilla del rio Alfenza, i commerci con la vicina Svizzera e l’esperienza delle genti varesine di Cunardo. «Abbiamo dato inizio alla ceramica ossolana nel 1978 - continua Carusi - in principio i colori che contraddistinguevano la fabbrica di Premia erano il blu, il marrone, l’arancio e il giallo. Noi abbiamo voluto dare una nostra impronta con un azzurro che dà sul violetto e il blu. La lavorazione è però la stessa utilizzata nell’Ottocento: partiamo dall’argilla per poi modellarla al tornio, intingerla in uno smalto che ci contraddistingue e decorarla a mano».  
Puntare sulla qualità, con un pezzo di terracotta che mediamente ci mette un mese prima di diventare prodotto finito, è stato il modo per espandersi e farsi conoscere anche a Milano e Parigi abbracciando una fetta di mercato definita ormai di nicchia. «Abbiamo pensato anche di fare un logo che richiamasse le origini e lo abbiamo ripreso dal manico di una vecchia caraffa che si produceva a Premia».  

Resistere alla crisi  
La lavorazione della ceramica, che avviene nel laboratorio di Crevoladossola, è complicata: «Serve attenzione sin da subito, dalla temperatura delle prime cotture in forno alla smaltatura che è molto importante». Per ottenere un prodotto eccellente ci vogliono esperienza, cura ma anche senso estetico e artistico. Poi bisogna fare i conti con l’esame dell’ultima cottura, «che evidenzia ogni minimo difetto». Oggi Carusi e il marito hanno scelto di tramandare il mestiere alla figlia Agnese. «Non è facile proseguire l’attività in questo momento di crisi in cui il lavoro è calato per tutti - racconta l’artigiana - ma teniamo duro». 


da http://www.lastampa.it/

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